CARLO DE MEO
"GENIO"
Carlo De Meo non smette mai di farci incontrare le nostre ombre. Le va a scovare tra le nostre cose abbandonate, tra i fiori blu che spuntano tra le gramigne, risistemandole poi con cura come fossero tante tessere mancanti del nostro puzzle quotidiano. Ombre fragili che poi lascia riposare sul selciato di un vicolo, che sistema sulla parete di una cucina, che mette in piedi per fartele d’improvviso incontrare, appena svolti l’angolo.
Ciascun riflesso di questa sua opera laboriosa è una verità ottica in cui l’artista fa inciampare lo sguardo per poi ripartire alla volta di nuove mappe immaginifiche.
Ad orientare tutte le possibili e impossibili rotte un Genio, un’ombra - faro di conoscenza. L’opera realizzata dall’artista ha trovato naturale e straordinaria collocazione appena svoltato il braccio del Moricone. Un ponte ideale, lanciato da un genio civile, che indirizza riflessioni e suggestioni a partire dal divieto a smettere di meravigliarsi, almeno fino all’ultima installazione.
"TUTTI GIÙ PER TERRA"

Da qualche giorno osservava i suoi pensieri privi di spessore e senza contenuto, girotondolava intorno al mondo e alla terra perchè tutto era giù per terra.

Con il secondo intervento, posto in contiguità spaziale con la precedente installazione, Carlo De Meo ha riportato lo sguardo giù per terra, dove la visione si abbassa e l’ombra mutevole si aggrappa alla materia.
In maniera analoga al mito della Caverna di Platone l’ombra ha preso carattere di radice, divenendo appiglio necessario ad un processo di conoscenza in relazione all’universo-mondo.
La ricontestualizzazione di oggetti di uso quotidiano denota la profonda maestria dell’artista nello scomporre e ricomporre la realtà in una danza alchemica in cui un gioco semplice, uno di quelli che si impara da bambini, il girotondo ha assunto le forme di una partitura sopra e sotto cui cogliere fiori blu, rossi, gialli.

"ATTENDO, SDRAIATO SU UN TAVOLO, ATTENTO"
Nella casa varco che apre all’uscita Carlo De Meo ha posto l’ultima delle sue e nostre bugie. Nell’installazione, la presenza/assenza dell’ombra si percepiva ancor prima di volgere lo sguardo al suo cospetto.
Era voltandosi che ci si accorgeva di un uomo disteso, assorto nel suo universo, scisso dalla materialità delle cose, ma di esse intimamente composto. Oggetti di uso abituale come un tavolo da cucina, matite, detersivi che possono tutto o quasi, ma tanto vale pensarci prima di salutarsi.
Il contributo dell’artista al progetto è compiuto e in esso si può immaginare un senso che sovrasta i tre singoli interventi, ma anche no. L’artista lascia al visitatore la possibilità di crederci o no, ancora una volta a questa ultima, seducente bugia. Il farsi spazio impone a chi osserva una ri-negoziazione delle certezze che tanto più sono evidenti quanto spesso ignorate; ciò che in fondo sembrano dirci i suoi lavori è di imparare a vedere di nuovo ciò che pensiamo essere assodato.
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