ALESSANDRO COCCHIA
NAPOLI 1972. Studia design e comunicazione visiva. Inizia la carriera come graphic designer e illustratore. Oggi è un artista e direttore creativo di Questionmark srl. Si avvicina all’arte studiando la storia della grafica e delle forme di comunicazione visiva. Nel 2001 collabora come artista con la Swatch realizzando un modello in collezione mondiale. Nel 203 vince il compasso d’oro per il progetto di identità visiva della Soprintendenza Archeologica di Pompei. Negli anni successivi vince vari premi internazionali nel settore del design e della comunicazione. Nel 2000 fonda il progetto PURP, un “brand” che fa del merchandising degli oggetti d’arte. Dal 2008 esplora e sviluppa nuove forme di street marketing incentrate sull’arte e nascono i progetti Liotru d’autore nelle piazze di Catania; Art&More by GLO, il più grande murales su manto stradale (4.000 metri quadri) mai realizzato in Italia, ricoprendo il lungomare di Napoli per 300 metri di lunghezza; Muraria-il linguaggio-, per la manifestazione Maggio dei Monumenti, un murales in piano di 400 metri quadri che vanta di essere la prima opera d’arte monitorata dai satelliti dell’Agenzia Spaziale Europea
TITOLO PROGETTO PER SEMINARIASOGNINTERRA23
P-HOPE
Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro?
Non riesco a definire un passato e un futuro nell’arte. Lo riesco ad immaginare per qualcosa che ha un andamento lineare, una cronologia appunto, per esempio una vita. Ma per l’arte non ci riesco a pensarla così. Per me non è una linea ma più una circonferenza, anzi una sfera, in cui il tempo non è una variabile influente. È un volume in cui tutto convive, influenza e si fa influenzare da tutto il resto. Cambia poco se nella vita fisica è stato realizzato un secolo prima.
Quali sono gli elementi su cui vorresti/e lavorare ancora?
Quello su cui ho sempre lavorato: le forme di comunicazione. Perchè la comunicazione implica la comprensione. Le persone sono sbadate, poco attente, poco inclini a capire i motivi delle cose, si fermano in superficie. Così nascono i drammi dell’umanità, dall’ignoranza e dall’incapacità di vedere oltre un’azione, una parola o un gesto. Io non ho la presunzione di fare qualcosa per l’umanità ma so che l’arte può essere uno strumento che può aiutare a far riflettere, più di quanto possa fare la “comunicazione” standard, perchè l’arte è credibile, è autorevole, è super partes, è genuina, e spesso è bella. Le persone ricercano nell’arte un significato, c’è predisposizione ad andare oltre, e io provo a dirgli delle cose apparentemente semplici e lo faccio divertendomi (unica condizione:)
Raccontami di più dell’opera (per Seminaria.
Si chiama P-HOPE, è la prima di una serie, perchè le speranze possono essere tante e cambiare rapidamente. Si muove lungo il contrasto e riesce a dare senso all’improbabile e provocatoria convivenza del Papa con PeppaPig, perchè la speranza accomuna un bambino, un adulto, un adulto che è il Papa, un’adulto che è in guerra e un bambino che è in guerra.
Un progetto che non hai potuto realizzare, ma che ti piacerebbe fare?
Più che un progetto una scommessa: possiamo dire che faccio parte di quel mondo underground e indie dell’arte, fuori dai calcoli dei galleristi, dai coefficienti e dai circuiti “ufficiali” dell’arte. Molto per scelta e un po’ perchè tanti anni fa ho capito quanto non fossi adatto a percorrere le “vie dell’arte” in Italia e quanto fosse impenetrabile la barriera culturale di chi gestiva l’arte. Oggi mi piacerebbe scardinare quella barriera, e lo sto facendo. Oggi che finalmente l’arte non è monotematica e che spesso si è ribellata ai suoi gestori. Forse è solo una mia sensazione ma credo che oggi l’arte sia più libera. Oggi che vendono più quadri le piattaforme web che le gallerie. Oggi che piovono dal cielo nuove teorie e forme d’arte, vedi gli NFT. Oggi che all’improvviso hanno capito che con la street art riescono a riportare le persone nei musei. Oggi che un ex fumettista manga è diventato uno degli artisti contemporanei più quotati. Oggi mi sto togliendo quello sfizio, senza aspettare l’approvazione di un gallerista (credo si stiano estinguendo). Quando riuscirò a portare una mia “non opera” in un museo allora avrò compiuto il mio progetto e la mia provocazione.
La tua arte “ruba” alla cultura pop e mediatica in cui siamo tutti inevitabilmente coinvolti. Le icone moderne che utilizzi e commistioni oscillano tra i personaggi di finzione e i grandi leader mondiali. Cosa ha portato ad interessarti a questo tipo di immaginario? Quanto c’è nella tua ricerca di assimilabile alla street-art?
In un certo senso a questa domanda ho già risposto nelle precedenti. Sfrutto il valore simbolico e la potenza di icone mondiali e simbologie popolari, che siano esse prese dalla mitologia, dai fumetti manga, dai cartoon, dalla cultura napoletana, da quella messicana o dalla vita reale non mi interessa, è bello proprio metterli sullo stesso livello e farli dialogare. Vi assicuro che hanno molto in comune. È il potere della fantasia, ci permette di assistere ad una cena tra Amy Winehouse, Remì e Homer Simpson, in cui discutono dell’intelligenza artificiale. Sarebbe figo, ne uscirebbe un bel messaggio sulla solitudine generata dai social e dalla tecnologia.
Non sono uno street artist, anche se ho fatto molte cose per strada. Le mie prime folgorazioni e ispirazioni sono arrivate guardando Haring e Basquiat. Prendo da una parte di Street Art, la capacità di dare messaggi immediati e facili e di arrivare alla gente. d’altra parte nasce per questo, poi l’hanno snaturata museizzandola. Ma la metto sullo stesso livello dei cartoni animati, dei fumetti e del TG1. Non me ne vogliano i cartoni animati.