GINO SABATINI ODOARDI
Il percorso di Gino Sabatini Odoardi si caratterizza da un marcato interesse verso il pensiero tradizionale, il modo di porsi dell’uomo (e il suo continuo bisogno di conferme) di fronte a l’inconoscibilità del mondo. L’intenzione è quella di insinuare il dubbio, rimettere in discussione la realtà, rompere gli equilibri su cui poggia la nostra cultura scardinando le sicurezze, in un continuo rimando senza risposta. I lavori si situano in bilico tra il sacro e il profano e tra la modularità seriale dell’oggetto e un drappo plastico. “Termoformatura in polistirene” è la definizione tecnica del procedimento sfruttato dall’artista per realizzare gran parte dei suoi lavori, l’appropriazione di tale processo materico lo rende artista unico nel panorama italiano e internazionale. Determinanti nella sua formazione gli incontri con Fabio Mauri (performer nel 1997 in “Che cosa è il fascismo” alla Kunsthalle di Klagenfurt e successivamente assistente) e Jannis Kounellis (allievo al Seminario-Laboratorio nel 1998 a L’Aquila curato da Sergio Risaliti). Tra i vari premi: nel 1999 ha ricevuto da Alfred Pacquement (Centre George Pompidou) “Le prix des Jeunes Createurs” all’Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi. Nel 2023 la Maretti edizioni pubblica un volume a lui dedicato, “Tra le pieghe del dubbio”, a cura di Claudio Libero Pisano e Adriana Polveroni. Partecipa alla LIV Biennale di Venezia, Padiglione Italia (Arsenale). Dal 2013 è rappresentato dalla galleria Gowen Contemporary di Ginevra. Dal 2017 è docente di Plastica Ornamentale e Tecniche Plastiche Contemporanee presso l’Accademia di Belle Arti di Frosinone.
PH. VALENTINO CAPITANIO
TITOLO PROGETTO PER SEMINARIASOGNINTERRA23
“SENZA TITOLO CON SEDIA” 2016/2023 / “SENZA TITOLO CON SEDIA” 2023
Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro?
Il passato è fondamentale, non è una cosa morta ma è la sostanza di cui è fatto il tempo. Guardarsi indietro fa male ai muscoli del collo. Spesso lo ricordiamo male, ma non è nient’altro che il futuro di ieri.
Quali sono gli elementi su cui vorresti/e lavorare ancora?
Non ho mai lavorato sugli elementi, ma sulle domande che non troveranno mai risposte.
Raccontami di più dell’opera per Seminaria.
Installerò una delle mie tante sedie inclinate nella pancia di una torre di avvistamento di Maranola. L’ho
immaginata sospesa in aria, levitante, in estasi, circoscritta e sorretta da cavi in acciaio. Questo corpo che in altre circostanze installative ha ceduto la forza ad un drappo disciplinato, in questo caso cercherà di sottendere un miracolo fuori asse ridisegnando una nuova livellatura. Un tentativo di giocare a scacchi con il baricentro del mondo senza certezze. Anche perché siamo tutti ostaggi, cambia solo la postura.
L’opera sarà corredata da un piccolo disegno/progetto a rilievo e posizionato nell’arco di via Tre Ponti: “Senza titolo con sedia” 2023 cm. 25x25x1.
Un progetto che non hai potuto realizzare, ma che ti piacerebbe fare?
Ho sempre cercato ostinatamente di dare seguito alle mie visioni. Ricordo sempre una citazione di Napoleone Bonaparte “Impossibile: è una parola che si trova solo nel vocabolario degli stupidi”.
Il bicchiere è evidentemente un topos nella tua ricerca, ci sono però altri temi che ricorrono spesso
nella tua produzione come il concetto di sacro, di postumo, il bianco e il nero. Volendo citarti, “esiste una linea guida perché esiste un’idea guida” ecco che valore ha per te la piega?
Forse il significante è da ritrovare nella mia infanzia: provengo da una famiglia storica di tappezzieri e di conseguenza ho sempre avuto residenza stabile nel panneggio. La piega è una magia composta di senso che si replica all’infinito nel suo illimitato riprodursi, stratificarsi, costituirsi. Questi labirinti nomadi senza finestre hanno la grande proprietà di celare nuove armonie in cui ogni azione è un’azione interna, piega nella piega, ombra nell’ombra.
Ogni lieve ondulazione coagulata sfugge alla rigida scala diatonica della forma, un gioco espressivo di “accordi” (Gilles Deleuze). Ogni panneggio è una ruga barocca che cela tracce e segni che coincidono con gli elementi essenziali della percezione, luce/ombra, bianco/nero, interno/esterno.
Drappi, che nelle loro infinite combinazioni, raccontano le innumerevoli risvolti della vita, dove niente è chiaro e rivelato. La plasticità dell’ombra nascosta è sperimentabile ma non verificabile, così come gli ingressi multipli diretti all’anticamera del pensiero muto. È qui che ripiego, da astigmatico, il mio sguardo ateo sul mondo.